Sono passati appena 12 anni dall’attentato che, nel 1944, ha tolto Hitler dalla scacchiera del conflitto mondiale dando una severa spinta alla cessazione delle ostilità e ad un nuovo allineamento delle forze mondiali, che l’Italia si trova nuovamente messa a ferro e fuoco: il Regno del Sud, sotto la spinta bellicosa del partito fascista, ha dichiarato guerra alla Repubblica dell’Alta Italia e dopo pochi mesi i combattimenti si susseguono feroci attestando il fronte lungo la dorsale appenninica.
Il governo della Repubblica
dell’Alta Italia del Presidente Pertini si affida alle sue divisioni migliori,
composte sia da italiani che da volontari internazionali provenienti dalla
Francia e da altri paesi che hanno sposato la causa repubblicana, per arginare
gli attacchi e non far dilagare nella pianura padana i combattenti sudisti con
il costante timore che gli alleati del Regno del Sud, in particolar modo
Britannici e Americani, decidano di farsi coinvolgere ufficialmente nel
conflitto dando ai sudisti una potenza di fuoco soverchiante.
Quando in parte questi timori
trovano riscontro nella realtà con il bombardamento (e la conseguente
distruzione quasi totale) di Venezia e l’intervento, sebbene non dotato di
appoggio ufficiale, delle divisioni corazzate al comando dei generali Patton e
Clark, la bilancia del conflitto sembra pendere a favore del Regno del Sud.
Si rende pertanto necessaria,
come dice il titolo, una extrema ratio, una misura estrema, per far cambiare il
Vento del conflitto.
Per una missione di tale
proporzione è basilare la massima discrezione e deve quindi necessariamente
essere svolta con segretezza, risolutezza e velocità; deve dunque essere
affidata ad agenti tanto segreti quanto efficaci e letali. Non è pertanto una
sorpresa che il comando della missione venga assegnato a George Leconte,
momentaneamente in Grecia apparentemente per svago, che, con Alberto
Scandellari aveva di fatto salvato le sorti della nazione già alcuni mesi prima
dimostrando il suo indubbio valore.
Leconte non esita un attimo e,
formata la squadra piccola e fidata con cui salpare, si imbarca in questa nuova
avventura nonostante l’evidente mancanza di certezze.
Michele Rocchetta si conferma in
questo ben congegnato seguito di L’ombra del duce un narratore che ben
sa concepire, organizzare e strutturare una trama senza freni, non scontata e
coinvolgente grazie anche ad un sapiente uso dei dialoghi che aiutano ad
alleggerire scene che avrebbero tutte le caratteristiche per risultare
altrimenti un po’ troppo pesanti.
Un sequel che nulla ha da
invidiare al suo predecessore e può essere anche letto separatamente grazie ad
una intelligente piccola digressione inserita nel prologo.
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